ISIDORO GUZMÁN MANZANO, Fe y razón en Juan Duns Escoto. Edición bilingüey versión española del "Prólogo" -Juan Ortín García. Edición di Francisco Martínez Fresneda (Publicaciones del Instituto Teológico de Murcia OFM. Serie Mayor, 50), Espigas, Murcia 2009, pp. 282.
(ORLANDO TODlSCO en Miscellanea Francescana 110, 2010)
Docente all'Antonianum di Roma e all'Istituto Teologico di Murcia, Manzano è stato un apprezzato studioso del Medioevo e in particolare di Scoto, Il volume in esame è l'omaggio dei suoi confratelli alla sua memoria, omaggio che, attraverso questa recensione, la Facoltá San Bonaventura vuole a sua volta rendere all'eminente francescano, prematurament escomparso.
Al centro dei sei capitoli, in cui il volume si articola, c'è la tematica della prima parte del Prologo all'Ordinatio, pubblicata in appendice in edizione bilingue. Con escursioni di varia natura e con grande intensità teoretica, l'autore dimostra che I'interrogativo, con il quale Scoto apre tale prologo all'Ordinatio, se (utrum) la rivelazione sia necessaria nello stato attuale, non è ozioso, ma grandemente significativo. L'ipotesi averroistica dell'autosufficienza di ció che è "naturale" e del carattere "ideologico" di conoscenze proveniente da altre sorgenti, è sullo sfondo di queste pagine introduttive all'Opus magnum, che Manzano ha il merito di richiamare e porre in primo piano. II pregiudizio che egli scalza è che non ci sarebbe nulla che non si possa spiegare sul solo piano dell’intelligenza profana, rispetto alla quale la rivelazione prima e la teologia poi risulterebbero superflue o forse ingombranti: la rivelazione è un insieme di "fabulae" e la teologia una costruzione su dati estranei all'intellelto. Compendio di questo orientamento è il detto, che circolava tra gli studenti della Facoltá delle Arti:«Non plus scitur propter scire theologiam», Ma è, forse, vero –è l'interrogativo al centro dell'articolata argomentazione del volume -che la ratio non è altra cosa dall'auctoritas, che tale auctoritas, rappresentata da Aristotele, fa tutt'uno con la ratio, sicché non c'é auctoritas fuori della ratio?
Tommaso aveva sostenuto l'autonomia del mondo profano, vincolato dal proprio statuto a espandersi in un certo modo, e teorizzato l'autonomia della filosofia, con in sé la norma autocorrettiva, grazie a cui si armonizza con gli altri versanti e si porta a Dio. In nome di questa sua lógica interna, la filosofía apre alla teologia e questa si impone come necessaria per la salvezza, non riducibile alla teologia naturale di Aristotele e tuttavia propriamente scientifica, perché fornita di «principia a Deo revelata», e dunque oltre ogni dubbio. Ebbene, se Tommaso si muove inquesta logica concordataria e ascensiva, Manzano ben dimostra che Scoto non si propone di costruire ponti tra la ratio e I'auctoritas, tra la scientia della philosophia (metafísica) e la scientia della revelatio (teologia). Seoto vuole definire gli ambiti della metafísica e della teologia e dunque indicarne la "distinzione", alla luce della puntualizzazione che I'una parla dell'ente non in quanto Dio ma in quanto ente, l'altra di Dio non come ente ma «ut haec essentia». Il discorso metafisico non è il discorso teologico, anche se entrambi necessari, ma non l'uno prologo dell ' altro.
Solo la metafisica é scienza teoretica o anche scientia tout court, nel senso che è il dispiegamento razionale di ciò che tutte le scienze non possono non presupporre. È la regina scientiarum o scientia scientiarum, dal momento che non presuppone alcunché, e per tanto scienza in senso rigoroso. II modello di scientificita del pensare metafisico, de-teologizzato e, dal versante opposto, de-fisicizzato, è il modello euclideo di segno propriamente deduttivo. Il suo regno non è Dio, di cui si occupa la teologia, né il mondo, di cui si occupa la cosmologia. Quello metafisico è un regno assolutamente puro, come lo spazio euclideo, e riguarda tutto ciò che a qualunque titolo è. È il regno dell'ente in quanto ente, non di questo o di quello, ma dell'essere-come-tale. Il filosofo non si occupa né di Dio né delle realta fisiche. L'apriori è il vero e proprio clima dell'intelletto filosofico-metafisico, e l'atteggiamento deduttivo il suo metodo. L'essere, concetto semplice e originario, è comune a tutto, è superiore a tutti, è predicabile in modo univoco di tutto. Questo ente in quanto ente, «cui non repugnat esse», dice pura possibilità a essere o meglio, «aptitudo ad existendum». Dunque, la metafisica è la scienza suprema, e questa non conduce da nessuna parte, poiché si risolve nella pura possibilitá oggettiva. La rete dispiegata conferma che si tratta di una natura, di un'essenza che nella sua comunanza è neutra e indiferente a qualsiasi determinazione. È l'esile mondo del compatibile, del possibile, del non-contraddittorio, che non esclude nulla e che è presupposto da tutto.
È per quanto concerne la teologia? Il passaggio dal possibile al reale, dall'universale al singolare e dunque I'attingimento di ciò che si è e del come e del perché si viva in un certo modo, tutto questo costituisce una tematica estranea alla metafisica. Per il chiarimento di questo territorio e per I'approdo finale è necessaria la teologia e prima la rivelazione, grazie a cui I'orizzonte si dilata, ben oltre quello metafisico, di segno universale e comune a ogni sapere. La teologia è un sapere particolare che ha la sua logica e la sua fonte, e cioè è forma superiore di sapientia, non scienza teoretica, non bios theoretikos, con finalità eminentemente pratiche. La teologia è rivolta alla praxis (cf. la pars quarta del Prologo: " De theologia ut scientia"). Da questo punto di vista Scoto è vicino a Bonaventura, per il quale la «theologia est ut boni fiamus», ed e oltre Tommaso, per il quale è speculativa e pratica. Se per Aristotele le scienze sono speculative (fisica, matematica, metafisica) o pratiche (economia, politica, etica), per Tommaso c'è solo una scienza che è speculativa e pratica insieme, ed è appunto la teologia, scienza rigorosa come tutte le altre e insieme guida verso la salvezza. Il francescano è perplesso davanti a una simile costruzione speculativa e davanti alla tesi che una costruzione speculativa, propriamente tale, possa essere anche pratica, persuaso che le verità teologiche siano «pratiche», nel senso che alludono a un piano di vita, e dunque si estendano alla praxis «relatione aptitudinali» (Prol. n. 237). Il compito della teologia è la salvezza, non la speculazione, per cui deve dirsi «aptitudinaliter scientia practica», non "teoretica".
Ricordando con affettuosa stima l'autore, amico di vecchia data, si fa notare che nella prossima edizione è opportuno che il sottotitolo venga meglio precisato, dal momento che si tratta dell'edizione bilingue non del Prologo, ma della prima parte - il Prologo, infatti, si articola in cinque parti.